www.animalinelmondo.com
il portale al servizio degli animali
Notizie animali » » news

Figli del Vento

Cap. 4) 22 aprile 2005

Il piccolo, che fino ad allora era vissuto in un limbo ovattato fatto solo del profumo del latte della mamma, incominciò a scorgere alcuni bagliori intorno a sé; i primi raggi di luce giungevano ancora vaghi e attenuati alle sue pupille appena dischiuse.
Nei primi dieci giorni trascorsi dalla sua nascita il suo corpo si era già irrobustito e ora riusciva a strisciare con determinazione per conquistarsi la mammella più turgida e saziare la sua fame. Certo la concorrenza era agguerrita, i suoi fratelli e le sue sorelle erano affamati quanto Lui, ma il latte e l’amore di Venus bastavano per tutti.
Ogni tanto uno di loro sembrava perdere l’orientamento e ruzzolava via, ma Venus era subito pronta a recuperarlo prendendolo dolcemente in bocca e riportandolo vicino a sé.
Lentamente anche le sue piccole orecchie a forma di rosa si stavano schiudendo e i primi suoni attutiti filtravano nella sua mente; erano i vagiti dei suoi fratellini e gli schiocchi delle loro piccole bocche che succhiavano avide il latte.
Quando Venus procedeva alla loro pulizia, e in questo era molto scrupolosa, i piccoli emettevano acuti gridolini stizziti, ma la mamma era irremovibile e, dopo averli girati a pancia in su, li leccava fino a quando il loro pelo non luccicava come la seta.
Il mondo esterno ancora non esisteva per Lui, per loro; solo Venus avvertiva in fondo al suo cuore un’inquietudine che spesso la faceva sobbalzare e la induceva a controllare che tutto fosse a posto, che nessuno mancasse all’appello.
In lei permaneva il ricordo della sua precedente cucciolata, dei suoi piccoli in gran parte scomparsi troppo presto, ancora prima che potessero apprezzare la vita; un umano era entrato e li aveva afferrati, sottraendoli al suo amore, alla sua protezione.
Non li aveva mai più rivisti.
Erano i più gracili della cucciolata e non sarebbero mai diventati dei campioni, non avrebbero mai fatto vincere somme vertiginose al loro proprietario.
Questo Venus non lo sapeva; sapeva però che li amava come gli altri e li aveva aspettati a lungo nello spazio ristretto della sua gabbia, cercando una traccia del loro odore, ascoltando il silenzio in attesa di un loro richiamo. Invano.
Questo vuoto le era rimasto nel cuore.
La sua ansia cresceva quando un ragazzo entrava nel piccolo recinto per deporre la ciotola con il cibo o per cambiare la paglia che attutiva, sotto i loro corpi, il contatto con il cemento duro e freddo. Quando lui prendeva in mano i piccoli per spostarli, Venus si alzava sulle zampe posteriori e controllava con il cuore in gola che tutti venissero nuovamente deposti vicino a lei.
Il ragazzo non la guardava nemmeno, mai una parola, mai una carezza. Lei però non aveva smesso di salutarlo, muovendo dolcemente la punta della coda ogni volta che entrava: i figli del vento sono fatti così.
A tre settimane dalla nascita i piccoli incominciavano a muovere i primi passi sulle loro zampette traballanti; ancora incerti nell’equilibrio, cadevano quasi subito sotto il peso dei loro pancini ricolmi di latte.
Venus si consolava pensando che nessuno di loro era molto più piccolo degli altri, né debole, né malato.
Questa volta era stata brava, questa volta non sarebbe successo…

Cap. 5) Kyowa

Quando Kyowa si risvegliò dall’anestesia era ancora disteso sul tavolo del veterinario e faticava a mettere a fuoco ciò che gli stava intorno.
Il dolore alla zampa ferita era ancora intenso, ma c’era qualcos’altro che stimolava i suoi sensi un po’ assopiti: un odore sconosciuto giungeva chiaramente alle sue narici e lo spingeva ad aprire gli occhi, nonostante le palpebre gli pesassero come macigni.
Nella penombra dello studio vide la sagoma di una donna che sedeva di fianco a lui: poi accadde qualcosa di meraviglioso, che lui non aveva mai sperimentato in vita sua: la donna allungò esitante una mano e con estrema dolcezza percorse il suo dorso, mormorando parole rassicuranti che lui non comprendeva. Capiva però che la carezza di quella mano gentile era quanto di più bello la vita gli avesse riservato finora.
Quando Kyowa fu in grado di muoversi, la donna lo condusse con sé fuori dall’ambulatorio, camminando lentamente per non sforzare la sua zampa ingessata e parlandogli con quella voce che lui non avrebbe dimenticato. Poi lo fece salire sulla sua auto, mise in moto e partì.
Sdraiato comodamente sul sedile posteriore, Kyowa non avvertiva più il dolore alla zampa, perché, per la prima volta nella sua vita, poteva vedere qualcosa del mondo e godersi un viaggio al di fuori della gabbia nel furgone che lo conduceva al cinodromo.
Così, felice nonostante l’incertezza sul futuro che lo attendeva, emise un profondo sospiro di soddisfazione, appoggiò la testa sul cuscino e si addormentò.

Cap. 6) 12 giugno 2005

Il piccolo era diventato un prodigio di vivacità e di allegria: era anche la costante preoccupazione di Venus, spaventata nel vederlo saltare e ruzzolare come una palla da una parte all’altra del recinto, mentre si azzuffava per gioco con i suoi fratelli.
Il suo passatempo preferito sembrava essere quello di mordicchiare con i dentini aguzzi le code degli altri piccoli e poi scappare a tutta velocità, correndo come un pazzo intorno a Venus. Per fortuna si stancava abbastanza in fretta e, come tutti i cuccioli, cadeva improvvisamente in un sonno profondo.
Il colore del mantello era diventato più definito e sul suo musetto erano apparse deliziose focature che sottolineavano i suoi occhi dorati, come se qualcuno si fosse divertito a tracciare il loro contorno con il kajal. Il torace e le gambe erano candide, come pure la punta della coda, mentre il dorso e gran parte del collo avevano il colore delle foglie d’autunno. Una sorta di collare bianco creava un piacevole contrasto.
Aveva assunto le fattezze di un figlio del vento: gambe lunghe, torace profondo, musetto allungato e sottile.
Le sue movenze erano ancora piuttosto goffe e scoordinate, talvolta sembrava facesse fatica a disciplinare le lunghe gambe che lo rendevano simile a un cucciolo di capriolo.
Non ne aveva però la timidezza: socievole ed estroverso, la sua curiosità lo spingeva a considerare positivamente ogni aspetto della vita.
Riponeva una commovente fiducia negli esseri umani, anche se non ne aveva visti molti, o forse proprio per questo.
Adesso Venus soffriva molto quando li allattava, perché i loro dentini appuntiti come degli spilli la ferivano, provocandole dolori acutissimi.
Allora cercava di redarguire i piccoli scuotendoli per la collottola, ma la cosa funzionava solo per poco; erano così famelici che ben presto si lanciavano nuovamente su di lei.
Fu quindi naturale che assaggiassero la loro prima pappa solida; quando la ciotola con il cibo destinato a Venus venne deposta per terra, il piccolo con determinazione vi immerse il musetto e iniziò a mangiare con avidità, nel timore di dover condividere il pasto con i fratelli.
Venus lo lasciò fare; ben presto venne imitato da tutti gli altri, finché nella ciotola non rimase più nulla.
Solo allora lei intervenne, leccando i residui di cibo dai musetti dei suoi piccoli, perché non sopportava di vederli sporchi. Poi si sdraiò rassegnata a saltare il suo pasto e si concesse un meritato riposo.

Cap. 7) Una nuova vita per Kyowa

Kyowa si svegliò scosso dai sobbalzi della vettura che si stava fermando in un cortile. La donna lo fece scendere, incoraggiandolo perché non avesse paura.
Il posto gli era completamente sconosciuto, ma l’atmosfera che vi regnava non era ostile, Kyowa ne era sicuro.
Alcune persone si avvicinarono e lo accarezzarono, dandogli anche dei bocconcini appetitosi.
Parlavano con la donna che lo aveva portato lì ed evidentemente lui era l’oggetto della conversazione, perché spesso lo guardavano, facendolo sentire al centro dell’attenzione.
Entrarono in un edificio e percorsero un lungo corridoio sul quale si affacciavano numerose porte, al di là delle quali Kyowa avvertì la presenza di altri figli del vento.
Non era però un canile simile a quello in cui era vissuto, l’atmosfera era diversa, accogliente; le persone che lo conducevano parlavano in tono amichevole con i cani e, cosa strabiliante, li chiamavano per nome.
Per Kyowa questa era un’assoluta novità, visto che fino ad allora era stato solo un numero; nessuno lo aveva mai chiamato, anche se possedeva il nome con il quale veniva identificato durante le corse.
Lo fecero entrare in un box decisamente spazioso, all’estremità del quale un materasso in disuso costituiva una comoda cuccia.
Nell’angolo opposto vide due grandi ciotole contenenti cibo e acqua in abbondanza.
La sua salvatrice gli tolse il guinzaglio, lo accarezzò e uscì, chiudendo piano la porta dietro di sé.
Kyowa si sentì solo senza di lei, ma era talmente stanco che si lasciò cadere su quella cuccia principesca e si addormentò.

Cap. 8) La prima selezione

La bella stagione favoriva i giochi dei cuccioli di Venus, che avevano ormai compiuto quattro mesi; si rincorrevano, simulavano la lotta, ruzzolavano gli uni sugli altri ringhiando come se volessero sbranarsi.
Venus era fiera di loro e di come li aveva allevati, tutti sani e pieni di energia.
Ogni tanto interveniva per punire quelli che facevano sentire un po’ troppo i loro dentini; era il suo compito di mamma quello di insegnare loro un po’ di buona educazione.
Quel giorno però i giochi furono interrotti dall’arrivo di tre uomini che presero i piccoli e li portarono fuori dal box; era giunto il giorno della prima selezione.
Per fortuna Venus non lo sapeva, ma il suo sguardo esprimeva molte cose, mentre guardava attraverso la rete i suoi piccoli che se ne andavano.
La prova si svolse rapidamente e alla fine soltanto quattro dei piccoli superarono la selezione; tra questi anche Lui.
Gli altri erano passati come meteore nel firmamento della vita, perché noi uomini siamo molto bravi nel dispensare la morte.
Venus attese invano il ritorno delle sue creature; infatti, anche per i quattro ai quali era stato concesso di continuare a vivere, era terminato il periodo felice dei giochi: ora dovevano diventare a tutti gli effetti dei campioni e questo sarebbe stato d’ora in avanti l’unico scopo della loro vita.
Vennero quindi condotti nella loro nuova residenza: una gabbia.
Una gabbia per un figlio del vento: solo un uomo può concepire una simile crudeltà.
I primi giorni lontano dalla mamma e dai fratelli furono tristissimi per il piccolo, che pianse a lungo prima di rassegnarsi alla sua solitudine.
Veniva fatto uscire tre volte al giorno per fare i bisogni e una per l’allenamento; questa era la sua routine, alla quale finì per rassegnarsi.
Avrebbe voluto fare amicizia con gli uomini che si occupavano di lui, ma solo il suo allenatore si dimostrava meno rude e indifferente e gli concedeva qualche premio e qualche carezza, quando si dimostrava all’altezza delle sue aspettative...

 

Figli del Vento, di Roberta Mombelloni
Storie di crudeltà, di amore e di speranza
Età dell'Acquario Edizioni
ISBN: 9788871363226 Prezzo € 14,00

Compralo su Macrolibrarsi


Pagina: 1 - 2 - 3 - 4


Notizia stampata il 26 Aug 2025 su www.animalinelmondo.com il portale al servizio degli animali