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Figli del Vento
I levrieri sono da millenni silenziosi e miti compagni di vita degli esseri umani.
In uno scavo archeologico nel sud-ovest della Turchia è stato ritrovato un disegno rupestre, inciso nella roccia e risalente al 6000 a.C., che raffigura una scena di caccia.
Ad aiutare gli esseri umani nella caccia si nota la figura di un cane dalle lunghe zampe, con il corpo sottile e il naso affusolato: un levriero!
Di loro parla la mitologia greca e quella romana; molti re e regine avevano (ed hanno) nel loro stemma araldico uno o più levrieri; innumerevoli testi antichi, tra i quali la Sacra Bibbia, li citano o li descrivono.
L’aspetto di questi magnifici cani è rimasto pressoché immutato nel corso del tempo e i levrieri che vediamo ai giorni nostri sono molto simili a quelli che sedevano al fianco dei faraoni dell’antico Egitto, dei re e delle regine del Rinascimento, ma anche delle persone comuni, che trovavano nel levriero un valido aiuto per procacciarsi del cibo.
Velocità, potenza e determinazione sono le caratteristiche che contraddistinguono questa razza di cani, ma anche dolcezza, riservatezza e un profondo attaccamento al padrone.
Ai giorni nostri alcuni levrieri, come il greyhound inglese o il galgo spagnolo, vengono ancora impiegati per le corse nei cinodromi (il primo) e per la caccia a vista (il secondo).
Pur venendo da paesi diversi, hanno molto in comune: sono entrambi cani da lavoro con la grande sfortuna di essere considerati mero bestiame; la durata della loro vita coincide con la durata della loro vita «professionale», senza possibilità di appello. Il mondo è pieno di cani bisognosi d’aiuto, ma la cosa che colpisce di questi levrieri è che ognuno di loro è stato fatto nascere, usato e infine scartato, per andare poi incontro a una tragica fine.
Non sempre, però. Alcuni di loro sopravvivono e diventano meravigliosi compagni di vita degli esseri umani.
[…] Conobbi Roberta in occasione dell’adozione del suo Bryce, un greyhound proveniente dall’Irlanda con alle spalle una storia triste, la stessa che ha ispirato le pagine di questo libro.
Libro che, ne sono convinto, è nato come naturale conseguenza dell’incontro di una persona come lei, sensibile ai problemi del mondo canino, con la dolorosa realtà dei levrieri maltrattati.
L’amore di Roberta nei confronti degli animali è evidente e lo sguardo che spesso rivolge ai suoi cani la dice lunga sul feeling che riesce a instaurare con loro.
Quando guarda Bryce, però, nei suoi occhi c’è qualcosa di speciale, di diverso rispetto a quando i suoi occhi si incontrano con quelli delle sue pur amatissime piccole levriere italiane Quisquiglia e Jody, o con quelli di Tiny, la piccola greyhound, ultima arrivata in ordine di tempo nella cerchia della sua famiglia.
Quando guarda Bryce, la fusione è totale e questo sguardo, unico e indescrivibile, è decisamente ricambiato dal suo cagnone alto e magro.
Bryce non guarda nessun altro come guarda Roberta e in fondo è giusto così: è il suo modo di ringraziarla per averlo salvato.
Dario Ferrario
Presidente di European Greyhound Network-Adotta un Levriero
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Premessa
15 dicembre 2008: non è un giorno qualsiasi, per lo meno non per me, non per Lui.
Chi è questo Lui? Lui è Bryce; la sua storia personale inizia il 12 aprile 2005, data della sua nascita, la nostra storia comune il 15 dicembre 2007, giorno del nostro incontro.
Cap. 1) 15 dicembre 2008
La giornata era molto simile a questa, un tempo inclemente che durava ormai da alcuni giorni, per lo meno da quando Lui era partito per affrontare il viaggio che dall’Irlanda lo avrebbe portato in Italia.
Mentre il nostro furgone percorreva gli ultimi chilometri che ci separavano da Lui in mezzo alla bufera di neve, provavo sentimenti contrastanti: gioia, perché il momento tanto atteso era arrivato; ansia, perché temevo le conseguenze di quel lungo viaggio in condizioni climatiche proibitive su di un corpo già provato da tanta sofferenza.
Poi finalmente lo vidi, ancora chiuso nella gabbia di ferro come tutti i suoi compagni: alzai lo sguardo e incontrai il suo, due grandi occhi scuri un po’ obliqui, colmi di paura ma anche di dignità; due occhi che cercavano di capire.
Braccia nerborute aprirono la gabbia, lo afferrarono e lo deposero a terra, davanti a me.
La vista appannata, e non solo dai fiocchi di neve, mi chinai su di lui e lo abbracciai.
Il suo corpo teso e rigido pian piano si rilassò e lo sentii appoggiarsi a me in un gesto che comunicava fiducia e un disperato bisogno di amore.
Cap. 2) 12 aprile 2005
Venus lanciò un’occhiata stanca ma soddisfatta ai suoi sette piccoli appena nati; erano una meraviglia, tutti sani, vispi e già molto affamati.
Ne percorse più volte con la lingua i morbidi corpi setosi, fino a quando non furono lucenti come seta. Tre avevano ereditato il suo mantello corvino, due quello tigrato del padre, uno sembrava un fiocco di neve.
Poi c’era Lui, visibilmente più grande degli altri, il lucido pelo color delle foglie d’autunno illuminato da bianche pezzature disposte in modo perfetto.
Venus pensò che la vita era un dono meraviglioso.
Cap. 3) Kyowa: fine di una carriera
Dall’altra parte dell’oceano Kyowa non sapeva di essere diventato padre; il suo seme infatti era stato spedito in Inghilterra; forse questo pensiero avrebbe attenuato le sue sofferenze mentre lo trascinavano fuori dal cinodromo con una gamba spezzata. Venne gettato in un angolo come un sacco della spazzatura, ancora ansante per la fatica della corsa.
Questa volta non ci sarebbe stato il podio ad aspettarlo e neanche quell’unica carezza da parte del suo padrone, al quale aveva fatto vincere una vera e propria fortuna.
Un dolore acutissimo lo fece sobbalzare: il corpo esanime di un suo sventurato compagno era stato gettato su di lui. Kyowa pensò che avrebbe voluto anche lui morire durante la corsa; che senso avrebbe avuto adesso la sua vita?
Da sempre tutto il suo mondo ruotava intorno alle corse, da quando ancora cucciolo era stato allontanato dalla sua mamma e dai suoi fratelli per iniziare l’addestramento, a quando aveva preso parte alla prima gara.
Una vita trascorsa per la maggior parte in una gabbia, dalla quale usciva solo per gli allenamenti e per le corse; una vita senza carezze e senza amore.
Venne caricato su di un furgone e poco dopo percepì l’odore intenso e poco rassicurante dell’ambulatorio; il suo proprietario, con una voce più alta e minacciosa del solito, pronunciava parole che lui non riusciva a capire; poi se ne andò sbattendo la porta.