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Una proposta etologica
Prima di analizzare queste fasi fondamentali vorrei descrivere l’attrezzatura necessaria ad un trainer per effettuare una doma “dolce”, questo perchè ogni addestratore famoso propone strumenti speciali, ideati e brevettati, che dovrebbero agevolare il lavoro ma spesso si rivelano costosi, inutili o addirittura pericolosi nelle mani di cavalieri inesperti.
Fondamentale è il tondino. Ottimale se con un diametro tra i 12 e 15 metri, con sponde alte e solide. Una normalissima capezza e una corda lunga, sono l’essenziale per domare un cavallo in sicurezza, ovviamente conoscendo bene il lavoro da effettuare.
Per quanto riguarda la parte pratica della doma, consiglio, a differenza di altri “sussurratori”, di portare il cavallo in tondino e lasciarlo solo, per il tempo necessario affinchè il cavallo si abitui al nuovo territorio ( prima fase ). Secondo me questa fase è molto importante, lasciare che l’animale si tranquillizzi prima d’iniziare il lavoro aiuta a stabilire successivamente una dominanza sicura.
Quando il puledro ha conosciuto il suo territorio e si dimostra tranquillo, si entra decisi verso il centro del tondino; guadagnato il terreno si inizia a fare pressioni muovendo braccia e corpo facendo si che il cavallo inizi a girare. Si ripete l’esercizio a mano destra e a mano sinistra, facendo capire al cavallo che da li non può uscire, che il trainer è padrone del territorio e lui deve stare ai margini di esso.
Questo perchè avviene? Essenzialmente per tre motivi, il primo risiede sulla nostra posizione, noi siamo al centro del territorio e ne abbiamo assunto il comando non lasciando il tempo al cavallo di ri-impossessarsene, è una fase piuttosto pericolosa perchè con cavalli con sviluppato istinto di dominanza, sentendosi sfidati, si potrebbe venire caricati se non ci si pone nella posizione giusta anticipandone le mosse.
Il secondo meccanismo si basa sulla “zona di fuga”. Ogni cavallo possiede attorno a se un’area nella quale non si può entrare, per motivi di soppravvivenza, a meno che non si stabilisca un rapporto ben definito con l’animale. Avvicinandoci al cavallo, gesticolando e con i movimenti del corpo invadiamo questa zona di fuga mantenendo il cavallo in movimento. Dosando le pressioni su questa zona si può ottenere l’effetto paragonabile all’acceleratore in un automobile.
Arrivati a questo punto siamo seduti sul sedile di guida (primo meccanismo), abbiamo l’acceleratore (secondo meccanismo) e ci manca solo il volante. Cosa ci permette di guidare da terra cavallo? Il punto d’equilibrio, ovvero il modo corretto di posizionarsi lateralmente all’animale affinché questo non si senta spinto o frenato dalla nostra posizione. Questo punto si trova all’altezza del “sottopancia” dell’animale e il nostro posizionamento (anche a distanza) rispetto ad esso, non fornisce stimoli di movimento al cavallo. Se ad esempio noi ci poniamo anteriormente a questo punto, il cavallo si trova la via di fuga bloccata e si vede costretto a fermarsi per invertire il senso di marcia.
Ovviamente la pratica è un pò più complessa. I tre elementi precedentemente descritti non sono separati, agiscono insieme e sviluppano infinite possibilità d’azione utilizzabili dal trainer, che deve saper gestire, non sempre l’animale “perdona” un nostro errore. Il cavallo può assumere infinite posizioni ed inviare svariate tipologie di segnali, solo con uno studio serio ed una solida esperienza si può lavorare in sicurezza ottenendo buoni risultati.
Quando dalla prima fase si ottiene la risposta desiderata dal puledro, ovvero abbassa la testa, rivolge l’orecchio interno verso l’uomo, mastica a vuoto, tutti segnali di attenzione e sottomissione verso il trainer, si può procedere con la seconde fase.
A cura di Daniele Dr. Mandelli
