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Il maltrattamento: la legge
Il maltrattamento e l’uccisione immotivata degli animali è un reato perseguito dal nostro codice penale.
Già nel 1849 il regolamento di polizia toscano prevedeva una contravvenzione per il maltrattamento degli animali. Nel 1889 l’articolo 491 del codice penale Zanardelli proibiva esplicitamente atti crudeli, sevizie e maltrattamenti di animali. La successiva legge n. 641 del 12 giugno 1913, concernente provvedimenti per la protezione degli animali, integrò il codice Zanardelli prevedendo altre fattispecie di reato. Nel codice penale italiano il reato di maltrattamento degli animali si è poi evoluto nell’art. 727 che prevedeva l’ammenda da lire 20.000 a lire 600.000. La legge n. 281 del 14 agosto 1991 (si veda in appendice) ha poi elevato l’ammenda prevista dall’art. 727 del codice penale da un minimo di 500.000 lire a un massimo di tre milioni di lire. Un’ulteriore evoluzione dell’articolo 727 del codice penale si è avuta con la legge n. 473 del 22 novembre 1993. Si tratta di un testo che ha istituito alcuni principi di grande valore, come la “valutazione anche etologica” delle necessità degli animali in relazione al loro trattamento e detenzione.
La più recente innovazione nel campo della regolazione penale in materia di animali è stata introdotta recentemente con la legge 20 luglio 2004, n. 189, Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché dell’impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate, che è possibile scaricare dal sito www.provincia.milano.it/animali.
La legge 189/2004 (si veda in appendice) individua e definisce un elenco di delitti nei confronti degli animali (maltrattamenti, uccisioni, abbandoni, combattimenti, doping, spettacoli) per i quali, per la prima volta in Italia, è previsto anche il carcere.
Il fondamento e la base di ogni azioni giuridica, preventiva e di denuncia, contro chi maltratta gli animali sono dunque la Legge 189/2004 e l’ex art. 727 del codice penale, che rimangono gli strumenti fondamentali per prevenire e reprimere i reati contro animali indifesi. A “corredo” di questi strumenti troviamo anche gli articoli 638 e 672 del codice penale, che riguardano gli animali di proprietà, considerati come “oggetto” e possesso privato, o comunque in relazione al danno che può essere causato all’uomo da comportamenti incauti.
Il maltrattamento degli animali viene considerato da troppi uomini di legge, magistrati, forze dell’ordine e amministratori locali un reato “minore”, per cui il denunciante si imbatte spesso nell’indifferenza, nella svogliatezza e nell’ostracismo di chi, invece, dovrebbe far rispettare la legge. Si tratta di un errore. Va sottolineato che la Corte di Cassazione ha affermato che tutti gli agenti di Polizia Giudiziaria sono competenti in materia di reati contro l’ambiente e gli animali: la condizione di maltrattamento o malnutrizione può essere accertata e repressa da qualsiasi pubblico ufficiale o da un veterinario ASL o da una guardia giurata dell'E.N.P.A. e di altre associazioni riconosciute.
- Elevazione da contravvenzione a delitto: non permette l'estinzione del reato con una semplice oblazione
- Abbandono di animali: arresto fino ad un anno o ammenda da 1.000 a 10mila euro.
- Detenzione incompatibile con natura degli animali e produttiva di grandi sofferenze: arresto fino ad un anno o ammenda da 1.000 a 10mila euro.
- Uccisione per crudeltà: reclusione da tre a diciotto mesi.
- Produzione, commercializzazione e importazione pelli di cani o gatti: arresto da tre mesi ad un anno o ammenda da 5mila a 100mila euro, confisca e distruzione del materiale.
- Sperimentazione senza anestesia se non autorizzata: reclusione da tre mesi ad un anno o multa da 3000 a 15mila euro.
Le entrate derivanti dalle sanzioni saranno destinate dallo Stato alle associazioni affidatarie degli animali sequestrati o confiscati.