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metodi alternativi alla vivisezione
Roberta Bartocci
Alla fine del 2001 il Ministero della Salute ha reso noti i dati
relativi al numero di animali impiegati in Italia per scopi
scientifici, e ai campi di applicazione della vivisezione. Rispetto ai
dati ufficiali pubblicati in Gazzetta Ufficiale nel 1998, si registra
una diminuzione che conferma il trend già in atto nel biennio
precedente 1996-1997: i numeri testimoniano un calo del numero di
animali impiegati da un totale di 1.147.551 del 1997 ai 905.603 del
2000.
Il dato è tuttavia solo apparentemente confortante: a fronte della
diminuzione del numero di animali impiegati, infatti, nell’ultimo
triennio di cui si hanno dati ufficiali disponibili (2000-2002), si
registra in parallelo un aumento degli esperimenti in deroga, ovvero
gli esperimenti condotti a scopo didattico e/o senza anestesia su cani,
gatti e primati non umani; e una stima approssimata rileva che quelli
“in deroga” risultano essere circa il 20% del totale degli esperimenti.
Questo dato, finora inedito, stride con ciò che la normativa vigente in
materia prevede (Dl 116/92), ovvero che gli esperimenti condotti sulle
specie di cui sopra oppure eseguiti senza ricorrere all’anestesia o a
scopo didattico dovrebbero essere autorizzati solo in caso di
dimostrata inderogabile necessità.
Si tratta dell’inquietante realtà che emerge dal Rapporto LAV 2004 La
vivisezione in Italia regione per regione, pubblicato nella primavera
del 2004, che rappresenta la prima indagine completa sulla
sperimentazione animale nel nostro paese.
Il Rapporto è frutto della elaborazione dei dati ottenuti dalla LAV dal
Ministero della Salute grazie a una sentenza vinta nel 1997 presso il
TAR del Lazio e di un’indagine durata oltre un anno presso Uffici
Territoriali del Governo (UTG, ex Prefetture), ASL e Comuni.
L’analisi effettuata dalla LAV su centinaia di protocolli sperimentali,
provenienti da tutta Italia, inviati dai ricercatori Ministero della
Salute prima di apprestarsi a svolgere esperimenti su animali, dimostra
un grave inadempimento da parte degli utilizzatori. Infatti, non uno
dei protocolli riporta una giustificazione dettagliata e circostanziata
sul ricorso all’animale a causa dell’impossibilità di impiegare
tecniche sostitutive. Queste, sembra, vengono semplicemente ignorate;
forse perché, come molti utilizzatori di animali ritengono, le colture
cellulari (uno dei metodi più diffusi che non fanno uso di animali),
non sono efficaci quanto l’animale stesso.
Eppure un importante dato emerso a questo riguardo nella stesura del
Rapporto LAV 2004 La vivisezione in Italia regione per regione è che
quasi il 40% degli animali viene ucciso con il solo scopo di allestire
colture cellulari; se al posto di questi venissero impiegati tessuti
umani provenienti da biopsie, interventi chirurgici di vario tipo o da
cadavere, si risparmierebbe la vita a circa 400.000 animali ogni anno.
Dal 2003 anche l’Italia è dotata di un organo per la diffusione dei
metodi alternativi, l’IPAM (Italian Platform on Alternative Methods),
costituita, come tutte le piattaforme degli altri paesi europei, da
rappresentanti di quattro aeree di interesse: istituzioni governative,
industria, mondo scientifico (università/enti di ricerca),
organizzazioni animaliste e per il benessere animale, e che conta fra i
suoi soci fondatori e sostenitori la stessa LAV. Il compito principale
dell’IPAM è quello di promuovere e favorire l’implementazione dei
metodi alternativi favorendo lo scambio di informazioni scientifiche e
di competenze tra le quattro aeree, dando impulso all’ulteriore
sviluppo e perfezionamento dei metodi alternativi alla sperimentazione
animale in Italia, sensibilizzando l’opinione pubblica, il governo e
gli stabilimenti utilizzatori, affinché, nella pratica della
sperimentazione, vengano più facilmente accettati i metodi alternativi
disponibili.
Nel febbraio 2004 la LAV ha rilanciato la campagna sul tema
dell’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale per la
diffusione della legge 413/93 (che riconosce a studenti e ricercatori
il diritto a dichiararsi obiettori alla sperimentazione animale),
attraverso la produzione di un opuscolo informativo e una locandina,
distribuiti in tutta Italia, compresi diversi atenei che sono stati
contattati singolarmente.
Circa la metà delle quasi 50 università italiane con facoltà di tipo
biomedico hanno risposto alle nostre istanze relative alle modalità di
pubblicizzazione della legge in materia positiva, spesso richiedendo
esse stesse il materiale divulgativo per garantire a tutti gli studenti
l’accesso a questo importante diritto, storica vittoria della LAV.
È tuttavia preoccupante rilevare quanto ancora questa legge – ormai in
vigore da undici anni – venga ancora troppo spesso ignorata, e che in
alcuni casi sia servito l’intervento di un’associazione e del suo
legale per ottenere la semplice comunicazione di un diritto. In alcuni
casi risulta poco chiaro il fatto che l’obiezione di coscienza sia
applicabile per tutti i casi connessi alla sperimentazione animale, e
non solo all’ambito didattico, sebbene sia questo quello nel quale
l’esercizio della legge abbia più senso di esistere. In realtà già
oltre il 70% delle esercitazioni didattiche in Italia non ricorre
all’impiego di animali, e questo testimonia la loro inutilità in questo
settore.
Si rileva invece una preoccupante diffusione dell’impiego di suini per
esercitazioni chirurgiche post laurea; rispetto a questo il Ministero
della salute dimostra una certa inerzia, dal momento che queste
attività rientrano nell’alto computo degli “esperimenti in deroga”, le
cui autorizzazioni vengono rilasciate da questo stesso dicastero, il
quale non sembra affatto operare un vaglio per stabilire l’effettiva
necessità del ricorso ad animali. I maiali vengono impiegati, infatti,
nonostante esistano simulatori virtuali o addirittura
contemporaneamente ad essi, contravvenendo al dettame normativo per cui
in presenza di un metodo alternativo l’animale non può essere impiegato.
Sono circa 45.000 gli animali che ogni anno muoiono sfigurati da
rossetti, intossicati da profumi, bruciati da creme e saponi. Eppure,
sono più di 8.000 gli ingredienti già disponibili per le aziende e
centinaia i metodi alternativi di ricerca.
Diversi sondaggi in tutta Europa hanno dimostrato che la maggioranza
delle persone non crede che sviluppare nuovi cosmetici sia una valida
giustificazione per far soffrire e uccidere animali.
Prosegue il lavoro della LAV per la sensibilizzazione dei consumatori
verso cosmetici non testati su animali, grazie all’adesione allo Humane
Cosmetic Standard, l’unico standard riconosciuto a livello
internazionale che fissa i criteri per l’approvazione di una ditta
cosmetica che produce senza il ricorso ai test su animali.
Dopo l’edizione del 1998, la LAV è alla stesura della sua seconda Guida
ai prodotti cosmetici non sperimentati su animali, che prevede
l’ingresso di una nuova figura come garante degli impegni presi dalle
aziende: ICEA, l’Istituto di Certificazione Etica e Ambientale, ente
che si occuperà di eseguire i controlli nelle aziende approvate in base
allo standard internazionale per verificarne la loro conformità.
Dalla fine di quest’anno sarà possibile riconoscere i cosmetici non testati su animali grazie alla dicitura:
Approvato da LAV (Lega Anti Vivisezione) (www.infolav.org)
Controllato da I.C.E.A. (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale)
(www.icea.info) n. 000
Dal 2005 sarà presente anche il logo della European Coalition to End
Animal Experiments (ECEAE), che gestisce lo standard e di cui la LAV è
membro. Man mano che nuove aziende decideranno di aderire allo Standard
verrà aggiornata la lista sul sito web della LAV; rispetto alla
precedente edizione è stato registrato un incremento nelle aziende
aderenti, sebbene non così importante come la LAV si era aspettata.
A questo proposito Unipro, l’associazione italiana dei produttori di
cosmetici, ha contribuito a non far decollare lo standard invitando i
propri soci a non aderirvi, evidentemente per evitare una discrezione
del consumatore tra aziende impegnate eticamente nel rispetto per gli
animali e le altre.
Questo testo è tratto dal volume:
Animali non bestie Difendere i diritti, denunciare i maltrattamenti, a cura di Gianluca Felicetti, pubblicato da Edizioni Ambiente nel 2004.
Per maggiori informazioni consultare il sito internet: http://www.edizioniambiente.it/eda/saggistica.htm