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Antivivisezionismo etico
OLTRE I CANCELLI PER L'INFERNO
Viaggio nel mondo della vivisezione
Il
pensiero occidentale non è mai stata particolarmente benevolo verso gli
animali che sono stati visti, quasi sempre, come esseri al servizio
dell'uomo. Non sono mancate, già nell'antichità, voce in dissenso
rispetto a questa impostazione, come ad esempio Pitagora, Porfirio,
Plutarco, Celso, ma nel complesso fino a pochi anni fa la visione
antropocentrica è stata quasi universalmente accettata. Anzi, in
passato vi furono filosofi che hanno considerato gli animali macchine
prive di sensibilità e sentimenti. Cartesio riteneva i guaiti di dolore
di in cane equivalenti al rumore di un orologio. A questa visione
barbara e non scientifica si oppose Kant. Questi infatti riteneva che
gli esseri umani dovevano rispettare gli animali perché la crudeltà
verso questi ultimi predisponeva identici comportamenti anche verso i
nostri simili. Anche l'impostazione kantiana però rimaneva
antropocentrica, poiché non venivano riconosciuti agli animali diritti
derivanti dalla loro condizione di esseri viventi e senzienti, ma
indiretti e finalizzati ad evitare analoghi comportamenti dannosi verso
gli esseri umani. Solo alla fine del 1700 il filosofo utilitarista
Jeremy Bentham, per la prima volta, iniziò a porre le base per il
riconoscimento dei diritti animali. Egli riteneva che gli uomini nei
loro comportamenti verso gli animali non dovevano considerare se questi
parlavano o ragionavano, ma soltanto se erano in grado di soffrire. Per
questo motivo è ingiusto comportarsi in maniera violenta verso gli
animali e quindi, ad esempio, vivisezionarli.
Soltanto all'inizio
degli anni '70 cominciò ad organizzarsi un vero e proprio movimento per
il riconoscimento dei diritti degli animali. A guidarlo due filosofi:
Tom Regan, professore presso l'Università del Nord Carolina negli Stati
Uniti e Peter Singer, direttore del Centro di Bioetica Umana alla
Monash University di Melbourne in Australia. Alla base delle
argomentazioni di questi filosofi, vi è il concetto di specismo. Gli
esseri umani mettono in atto comportamenti crudeli verso gli animali
soltanto perché questi non appartengono alla nostra specie.
Analogamente i razzisti discriminano in base alla razza e i sessisti in
base al sesso. Quindi riconoscere agli animali diritti quali la vita,
il benessere, un equo trattamento e il rispetto della specie di
appartenenza, rappresenta la logica conseguenza del riconoscimento dei
diritti umani. L'argomentazione che noi saremmo autorizzati a compiere
determinate azioni sugli animali poiché questi sono meno intelligenti
rispetto agli esseri umani, viene rifiutata utilizzando l'esempio dei
casi marginali. Se noi infatti vivisezionassimo soltanto in base al
grado di intelligenza, dovremmo utilizzare anche, ad esempio, i bambini
gravemente cerebrolesi, poiché sicuramente meno intelligenti rispetto
ai primati non umani. Se invece non ci comportiamo in questa maniera è
perché discriminiamo i nostri comportamenti in base a pregiudizi di
tipo specista.
Nelle valutazioni etiche delle nostre azioni verso
gli animali dobbiamo quindi considerare la loro capacità di soffrire,
di provare sentimenti e sensazioni. Non possiamo considerarli oggetti
da usare a nostro piacimento, come suggeriva Cartesio, ma soggetti di
diritto. Quindi non dobbiamo farli soffrire, non dobbiamo usarli per i
nostri scopi e per i nostri vantaggi che, nel caso della vivisezione,
riguardano solo chi la compie: soldi e possibilità di fare carriera e
non certamente utilità per il progresso scientifico e quindi per il
bene dell'umanità.
In sintesi, da un punto di vista etico, la
vivisezione deve essere rifiutata poiché rappresenta un esempio di
comportamento specista, gravemente lesivo di tutti i diritti che le più
avanzate correnti di pensiero filosofico riconoscono agli animali.
Lega Antivivisezionista (LEAL) - Via Settala 2, 20124 Milano, tel. 0229401323, av@leal.it