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IDITAROD: l'ultima grande corsa

Il cane nella foto è Tomislav, per gentile concessione di Gianmarco L.
Come ogni anno, il primo sabato di marzo, un gruppo di uomini farà
perdere le proprie tracce. Punterà verso nord, in mezzo a una distesa
di neve, contando solo sulle proprie capacità e quelle dei cani che
tirano le loro slitte. Sono i concorrenti dell’Iditarod, un percorso di
1150 miglia (oltre 1700 chilometri) da Anchorage a Nome, in Alaska, in
cui uomo e cani diventano un binomio inscindibile. La più affascinante
corsa di sleddog di tutti i tempi, che porta con sé tradizioni e
leggende, cui ogni anno partecipa un numero sempre maggiore di mushers
di ogni nazionalità e di ogni provenienza. Uomo e cani, un team, una
sola entità che per giorni e notti, parecchi gradi sotto lo zero e tra
più impervi paesaggi nordici, si avventurano in quella che ormai è
conosciuta in tutto il mondo come “l’ultima grande corsa”.
Ieri…
Il film d’animazione Balto ha senz’altro reso nota la leggendaria “corsa del siero”.
Nel
1925 un’epidemia di difterite colpì Nome. Era necessario trasportare
nel più breve tempo possibile le 300.000 unità di antitossina
disponibili ad Anchorage, ma le condizioni atmosferiche impedivano ogni
collegamento ferroviario ed aereo. L’unica alternativa rimaneva un team
di cani da slitta, su un percorso di 674 miglia in cui si alterarono
venti mushers, l’ultimo dei quali, Kaassen (il cui team era proprio
guidato dal celebrato Balto), raggiunse Nome il 2 febbraio, solo una
settimana dopo la partenza. Nonostante proprio Balto abbia ricevuto
tanti onori, il vero eroe della corsa fu Togo, leader di Leonhard
Seppiala, che guidò il suo team per ben 260 miglia. Quella fu l’ultima
corsa di Togo, il quale successivamente trascorse gli ultimi anni della
sua vita godendosi il meritato riposo.
...e oggi
Una
corsa contro la morte, ad una temperatura inferiore ai trenta gradi
sotto lo zero, in cui uomo e cani si rivelarono ancora una volta
binomio vincente.
Iditarod oggi non solo celebra la corsa del
siero che salvò la vita a molte persone, ma ricorda anche la caccia
all’oro che nel XIX secolo dilagò in Alaska; e ancora, gli scambi
mercantili e le consegne postali, che per anni hanno avuto luogo solo
grazie all’operato dei mushers e dei loro cani.
Col diffondersi dei
mezzi di aviazione le slitte trainate dai cani vennero impiegate sempre
meno e negli anni ’60 non rappresentarono altro che un frammento di
passato quasi dimenticato. Sarà necessario attendere il 1973 per
assistere alla prima corsa che calcasse l’Iditarod Trail, grazie
all’impegno e alla perseveranza di appassionati quali Dorothy Page e
Joe Redington.
Il regolamento della gara
Ogni
anno si riuniscono ad Anchorage decine di mushers, alcuni dei quali con
diverse Iditarod alle spalle, per rivivere ancora un’esperienza unica
non solo nel suo genere. Un’impresa quasi epica tra i fiumi ghiacciati,
i venti gelidi e le foreste invalicabili dell’Alaska. Quasi trenta i
check point dove i mushers possono fermarsi per le formalità previste
dal regolamento e per i controlli veterinari.
Ogni team è composto
da un numero di cani che varia da un minimo di dodici ad un massimo di
sedici e i primi arriveranno al traguardo dopo oltre dieci giorni.
Una corsa nata da appassionati e in cui corrono appassionati, per i quali nulla è più importante della salute dei propri cani.
Il
regolamento prevede che la slitta sia dotata del posto necessario a
trasportare un cane nell’eventualità di infortuni, malattie o qualsiasi
altra causa che potrebbe impedire ad un animale di proseguire.
Esistono penalità (o addirittura la squalifica) nel caso in cui:
- i cani non vengano tenuti in condizioni adeguate;
- il musher attui comportamenti violenti nei confronti dei cani: nessun altro mezzo, oltre la voce, ammesso per incitare il leader alla corsa;
- il
musher, o chi per lui, inietti droghe o altre sostanze (specificate nel
regolamento ufficiale dell’ITC – Iditarod Trail Committee -, il
comitato organizzatore dell’evento) ai fini di ottenere risultati oltre
le proprie possibilità da un cane del team.
I cani sono
inoltre dotati di scarpe di tela al fine di proteggere le zampe e
favorire una migliore aderenza al suolo, soprattutto nei tratti
ghiacciati. Ogni musher ha il compito di nutrire i propri cani, ognuno
secondo una dieta (basata su carne e pesce) dettata dall’esperienza di
anni di allevamento e di corse e dalla guida veterinaria.
Nonostante
le precauzioni, le cure del musher e l’assistenza veterinaria ad ogni
check point, molti sono costretti al ritiro durante la gara, spesso a
causa delle rigide condizioni atmosferiche che caratterizzano quei
giorni di quasi completa solitudine, in cui l’unico obiettivo non è più
vincere, ma arrivare al traguardo.
Il team vincente
Un
buon team risulta tale solo se il conduttore riesce ad instaurare con i
suoi cani quel rapporto unico di fiducia e rispetto che solo chi ha
posseduto un cane nordico può capire. E’ proprio quella fiducia e quel
rispetto che spinge una dozzina di cani ad obbedire all’unisono ai
comandi di colui che considerano il capobranco. Il Siberian Husky,
l’Alaskan Malamute, il Samoiedo e gli altri cani utilizzati nello
sleddog sono, più di altre razze, legati al concetto di branco,
all’interno del quale stabiliscono precise posizioni gerarchiche e di
cui generalmente è l’uomo ad esserne il capo. Compiacere gli “ordini”
di quest’ultimo diventa una sorta di privilegio che, unito all’innato
desiderio del traino e alla selezione di soggetti più predisposti di
altri, contribuisce alla formazione di un team vincente.
Un rapporto
unico, che si conquista una volta e si rinnova giorno dopo giorno. In
condizioni estreme, nei freddi glaciali del nord, un comando errato può
significare la morte. Per questo l’obbedienza non è mai cieca ed è
proprio questa atavica consapevolezza, tipica delle razze dei cani
nordici dallo sguardo impenetrabile, ad essere causa dell’erronea
quanto diffusa convinzione che siano “disobbedienti”, testardi e
completamente indipendenti dall’uomo. Indescrivibile è la soddisfazione
che deriva dall’aver conquistato la loro fiducia ed essere ritenuti
capi degni di obbedienza, amicizia ed affetto.
Un team con i
migliori cani e con il miglior musher non sarà mai il team vincente se
l’uomo e animali non sono uniti dall’indispensabile legame d’affetto
che rende unica qualsiasi impresa.
a cura di:
Mascia Aniello
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