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Soldati in blu

L'infliggere sofferenza all'animale è una palestra per la violenza dell'uomo sull'uomo.
Per me non conta solo questo effetto dell'allenamento a far violenza sull'uomo; ritengo che già il fatto in sé di far violenza sull'animale sia della stessa gravità del farlo sull'uomo; ritengo che non sia grave solo per l'esempio dato ma per il soggetto che subisce l'oltraggio. E per il soggetto che lo infligge, nonché per la Società costretta ad ospitare al suo interno tali persone.
Le immagini che in questi giorni sembrano shockare l'opinione pubblica, delle torture da parte di militari americani ed inglesi perpetrate ai danni di iracheni, non mi stupiscono più di tanto; come non mi hanno stupito quelle perpetrate ai danni degli indigeni brasiliani, dei pellerossa, degli eschimesi e, addirittura, delle vittime dell'olocausto; e come non mi stupiscono, dandomi al posto dello stupore una enorme sensazione d’angoscia, di dolore e di impotenza, quelle relative alle torture inflitte agli altri animali: le violenze gratuite, i carri bestiame, i mattatoi, la vivisezione, la sperimentazione animale…
Lo shock lo ebbi da bambino, quando capii cosa l'uomo fosse capace di fare in condizione di impunibilità; poi, capita la lezione, sia che i miei compagni di gioco, da bambino, torturassero lucertole, sia che sentissi notizie di torture ad altri esseri umani, non provavo stupore ma solo dolore.
Avevo imparato la lezione, sapevo come funzionava l'uomo: nel Mondo coesistono due diverse razze contrapposte: l'una che della propria prepotenza fa regola di vita: la razza infame; e l'altra che vive nel rispetto di sé stessa e del Mondo e degli esseri che la circondano. Gli incivili ed i civili.
Sarei stupido a stupirmi di nuovo ad ogni ripetersi, o meglio, ad ogni "scoperta" del ripetersi, delle infamie: non per insensibilità ma perché ho sempre percepito questa parte malata dell'uomo che in determinati soggetti alligna pronta ad esprimersi al primo momento favorevole, sia esso la possibilità di sgozzare un agnello, permessa, purtroppo, dalle leggi, sia esso la "legittimità" di uccidere un altro uomo per l'essere in guerra, sia esso la possibilità di torturarlo perché nemico.
Il torturare un nemico, per un essere dominato dalla parte infame del suo io, è un comodo alibi al farlo per la sua percezione del sentirsi appoggiato dall'opinione pubblica che quel soldato in quel momento finge di rappresentare: i morti delle torri gemelle, il dolore dei familiari, l'offesa portata alla sua patria.
In realtà questa persona è troppo spregevole persino per provare questi sentimenti.
Il suo unico agire è: finalmente posso provare il piacere - quello che per lui, infame, è - di torturare un altro essere, addirittura – sempre nel suo modo di vedere - umano, senza avere la disapprovazione degli altri; anzi, forse, avendo una velata approvazione in una sorta di vicendevole intesa e complicità: da quella parte infame della razza umana che la distingue in due razze contrapposte e che, purtroppo, nel tempo sembra avere il sopravvento.
Ricordo il viso soddisfatto e ironicamente beffardo di una scienziata sperimentatrice americana che godeva, letteralmente, nel mostrare una scimmia che, terrorizzata dal dolore, urlava all’infinito.
La scienziata rideva, prendendosene gioco e rivolgendole frasi tipo: “adesso cosa ti succederà?” e provando un evidente piacere dal potere che aveva di provocare dolore ad un essere inerme; ed era complice con le persone alle quali si rivolgeva.
Grazie a qualcuno che rese pubblico questo video, a quella società di sperimentazione vennero tolti i fondi dal governo americano.
L'espressione di questa famigerata militare americana, in questi giorni in cui è stata portata ai disonori della cronaca, nel mostrare i corpi degli uomini da lei torturati, il suo atteggiamento, il sorriso cattivo ed il piacere che trapelava dal suo viso è lo stesso identico di quella scienziata sperimentatrice.
Quindi non mi stupisco. Non fingo di farlo come tanti altri.
Topi ed uomini, cavie di ogni tipo, sono pronte ad essere torturate da quella parte della razza umana che non aspetta altro che il suo momento di gloria per approfittare di loro: quella parte repressa, malata, che non può avere dalla vita altra soddisfazione che quella di essere al soldo di chi non abbia altro valore da perseguire, sotto la mascherata di alti valori da conseguire, del suo interesse economico.
Quella parte malata della razza umana che unisce l'utile dei soldi con cui è pagata al dilettevole di poter fare ciò che ama; e che è l'unica cosa che sappia fare.
"Crudelitas in animales est tirocinium crudelitatis contra hominem" (Ovidio).

Riflessioni di Giuseppe Casagrande
pinocasagrande@iol.it


Notizia stampata il 24 Aug 2025 su www.animalinelmondo.com il portale al servizio degli animali